I LOVE LAOS part 1

Dalla Thailandia del nord, con una barca attraverseremo il mitico Mekong per raggiungere il Laos. E dopo le formalità doganali, riprenderemo il fiume alla volta di Luang Prabang.

Il viaggio sul Mekong

Per raggiungere Luang Prabang da qui, ci sono tre opzioni: autobus, barca veloce o lenta. Siamo un po’ avventurosi e scegliamo lo slow boat, due giorni su un barcone…ma ne vale la pena! Lungo il tragitto, bambini che fanno il bagno, al passare dell’imbarcazione non perdono occasione per salutare regalando magici sorrisi; alle loro spalle, piccoli villaggi con casette in legno abbarbicate lungo la riva scoscesa. Le interminabili ore sullo “zatterone”, nonostante microsedili e giubbotti di salvataggio che fanno ulteriore volume allo schienale, trascorrono piacevolmente. Il tramonto sul Mekong è mistico, non per niente è stato scenario di “Apocalypse now”.La sosta intermedia è a Pak Beng, un villaggio che ogni notte moltiplica i suoi abitanti per via dei viaggiatori. E’ costruito esclusivamente per i turisti con guest houses, bar e ristoranti; ma in perfetta semplicità laotiana creando inoltre lavoro per la gente del posto. E’ laotiano anche il fatto che l’elettricita’ funziona dalle 18 alle 22, dopo il villaggio si “spegne” concedendosi alla notte. 

La perla francese dell’Asia

Dopo i due giorni di navigazione, ecco Luang Prabang, antica capitale e patrimonio Unesco. Apparentemente un’Asia diversa per architettura ma anche per l’energia che emana. Lo stile coloniale francese non è a caso, il Laos e’ stato colonia francese durante il periodo indocinese. Molti vecchietti parlano francese e le scritte davanti ai palazzi pubblici sono ancora bilingue. Casette basse in legno, fiori ovunque e vasi  variopinti che s’intravedono dietro recinti fatiscenti, s’alternano a qualche tempietto. Si contano 32 templi buddisti, uno dei più belli è Wat Xieng Thong. Al tramonto, saliamo a vedere l’ultimo tempio sulla collina, insieme ad altre centinaia di persone. Il giro almercato notturno è obbligatorio come contrattare, altrimenti che mercato sarebbe? La mattina alle 6, non ci perdiamo le offerte ai monaci, il “Tak Bat”, tradizione buddista tramandata dai locali che raccolgono cibo per l’elemosina. E’ suggestivo vedere le persone che, in ginocchio a lato della strada, offrono cibo e fiori ai monaci incollonati lungo le vie. Un altro po’ di solidarietà non fa male e depositiamo al “Centro dei bambini”, le nostre bottigliette d’acqua che le venderanno insieme a lattine e pile per guadagnare qualche soldino e noi avremo smaltito in modo sostenibile i nostri rifiuti. Prima di ripartire ci aspettano le Grotte Sacre di Pak Ou, in cui è stata costruita una ‘foresta’ di Buddha.

Ci congediamo un po’ nostalgici, ma la magia continua con la prossima tappa alla Piana delle Giare.

MONGOLIA INFINITA

   “Meglio averla vista una volta, che averne sentito parlare mille”, così recita un antico proverbio parlando della Mongolia, affascinante e sterminata terra selvaggia, ancora oggi orgogliosamente attaccata alle sue tradizioni. 

Ulaanbaatar

La capitale, raccoglie oltre metà della popolazione del paese ed un contrastato progresso tra palazzi in stile sovietico, testimonianza del passaggio comunista e palazzi neoclassici. Le periferie sui pendii, denotano tratti più caratteristici con le gher, tipiche tende del popolo nomade, uomini e donne vestiti coi variopinti abiti tradizionali e gli animali che si aggirano liberamente per le strade. Ad Ulaanbaatar  più che in altri luoghi s’intercetta maggiormente la povertà tra chi vive nei moderni palazzi e nelle gher, senza però più essere “pastore della Steppa”. Il Museo Nazionale è molto interessante e la mastodontica piazza del Palazzo del Governo ospita una statua del famoso condottiero Gengis Kahn. Saliamo in collina al tramonto per visitare il monastero buddista Gandantegchenling, intercettando facilmente il vecchio e nuovo della città mischiati sporadicamente nel tessuto urbano. 

La steppa

Appena usciti dalla civiltà veniamo finalmente inondati dall’autentico paesaggio sempre più verde e sempre più vasto. Gher isolate a ricordare lo stile nomade mongolo legato agli animali, cavalli, mucche a mandrie solitarie, inmezzo a colline e interminabili vallate. I colori accesi ci ricordano che qui il sole splende 280 giorni all’anno. Oltre al buddismo in Mongolia è diffuso lo sciamanesimo ed ogni tanto intercettiamo sulle alture degli Ovoo, pile di pietre e ossa di animalee sciarpe votive. Secondo le credenze, qui si riuniscono gli “spiriti della natura” ed i nomadi ne invocano la protezione donando un sasso o piccoli oggetti che, giorno dopo giorno, contribuiscono alla crescita della pila votiva affinchè possa raggiungere il cielo. Dell’antica capitale Karakorum oggi è rimasto ben poco, ma ammiriamo l’Erdene Zuu Kiid, il primo monastero buddista del paese, luogo oggi vivacemente abitato da giovani monaci che però non rende giustizia alla sua passata maestosità. 

Il Gobi

L’apoteosi del viaggio lo raggiungiamo nel Gobi, uno dei luoghi più desolati e misteriosi del pianeta con distese sabbiose, laghi salati e canyon d’incontenibile bellezza. Abitato da alcune tribù nomadi, ospita rarità faunistiche per l’UNESCO . Alle dune di sabbia di Khongoriin Els, le più grandi del paese, la sonorità della massa sabbiosa è quasi solenne. Bayanzag, quando si tinge di rosa al tramonto per la colorazione delle sue rocce, fa ringraziare madre natura. Come ultima tappa al Monastero Damba Dardaalin siamo definitivamente trafitti al cuore dai canti dei monaci che rischiarano l’anima prima della nostra partenza.