Chapter 19: BANGKOK SOLA ANDATA

– T H A I L A N D
Saluto Ho Chi Minh City dal finestrino dell’aereo che mi sta per riportare dopo quasi 1 mese e mezzo a Bangkok. La mia missione in Indocina è ora terminata, a questo punto mi merito lo svacco totale su un’isola.

Ma prima di realizzare i miei piani, ho appuntamento in albergo con miei amici/colleghi della mia ex compagnia aerea che sono in sosta a Bangkok per qualche giorno. Arrivo da loro intorno alle 21. Sono veramente felice di vederli, perchè se non qui, in Italia è più difficile incontrarsi e stare un insieme. Ci sono Massimo, Lele, Paolo e il fratello di Massi, Stefano. Ce ne andiamo tutti insieme a mangiare tipico in un ristorante spartano sotto ad una specie di tendone da festa dell’Unità dove puoi farti un ottimo BBQ di carne o pesce con verdure, a cifre veramente irrisorie. Dopo cena andiamo tutti in camera di Paolo fino a tardi. Il giorno dopo avevamo in programma di andare sulle isole tutti assieme, ma i bagordi della sera prima non ce l’hanno permesso, così restiamo a Bangkok.

Questi sono i giorni del “Songkram” la festa di fine anno thailandese, la cui cosa peculiare sono i grandi gavettoni d’acqua che ti gettano addosso per le strade! Oltre ad inzupparti, i thailandesi usano anche una poltiglia bianca ricavata con acqua e riso per imbrattarti e finire l’opera. Così quella sera, sapendo questa cosa usciamo vestiti “da spiaggia” per andare a Kao Sarn Road, dove praticamente era una delirante guerra aperta. Stefano che ci aspettava già lì, si era nel frattempo armato ed aveva con sè una bella pistola ad acqua. Non so quanta acqua abbiamo preso ma so quando ci siamo divertiti!

Nonostante l’ora tarda, io e Paolo la mattina seguente siamo partiti per Koh Chang trascinandoci fuori dalla stanza come due zombie, mentre gli altri non sono riusciti ad alzarsi dal letto. Abbiamo preso il pullman locale che dopo 6 ore ci avrebbe portato sulla costa fino a Trat e da lì col traghetto a KC. E’ inutile dire che anche qui c’era il Songkram e per tutto il tragitto sul taxi ce lo siamo fatti bombardati da secchiate d’acqua fino al resort. Anche al Tree House, il resort fricchettone e pittoresco per via dei suoi particolari bungalow di legno ricreati sugli alberi che io già conoscevo e che avevamo scelto per soggiornare, era una guerra aperta coi gavettoni e l’armistizio veniva rispettato al bar ristorante solamente all’ora di cena. Io e Paolo, a questo punto, dopo cena abbiamo preferito evitare l’ennesimo bagno optando di tornare al bungalow e stare più tranquilli. Nel frattempo al ristorante del Tree House mi avevano preso le infradito lasciate come tutti all’entrata del locale, questo perché in Thailandia tutti hanno praticamente le stesse infradito di colore nero comprate in qualche negozietto! Così per andarmene me ne sono presa un paio a caso, peccato che non vedendole bene al buio ne ho prese un paio decisamente sfondato, così che la mattina successiva m’è toccato andare a comprarne un altro paio. Paolo mi prendeva talmente in giro sulle infradito fregate al bar che la sera successiva è toccato a lui lo stesso trattamento! Ah ah ah il karma! Abbiamo passato delle giornate super rilassanti al Tree House e nonostante i miei buoni propositi di far vedere a Paolo l’isola, siamo piuttosto rimasti abbastanza svaccati sulla spiaggia. Il giorno seguente siamo tornati a Bangkok, perché Paolo l’indomani avrebbe avuto il volo di rientro per l’Italia.

Il giorno dopo quindi, dopo aver salutato anche tutti gli altri colleghi in partenza, io e Stefano il fratello di Massimo, siamo tornati a Kao Sarn Road per mangiare una cosa e poi andare da lui. Per 2 mesi Stefano ha preso in affitto una stanza proprio dietro Kao Sarn. La sua stanzetta è molto essenziale e dà un’idea di come siano le semplici case thailandesi. Non c’è cucina, solo una stanza con un letto e un bagno. Tuttavia la stanza di Stefano non mi dispiaceva affatto poiché lui piano piano la stava riempiendo di cose molto carine acquistate in giro.

Avendo ancora una bella settimana da passare qui, sono indecisa se andare a Koh Pangan come avevo inizialmente pensato oppure di ritornare a Koh Chang che mi aveva molto ispirato. Così ho rioptato per Koh Chang. Arrivo sull’isola che è già buio, conosco sul traghetto una ragazza olandese, Nancy, lei ci mette poco a convincersi di seguirmi al Tree House. Purtroppo essendo già tardi, non ci sono bungalows disponibili così nell’attesa che se ne liberi uno il giorno seguente, andiamo nel resort accanto. Prima di addormentarci ci siamo divertite a ricordare le canzoni dei vecchi cartoni animati. Il giorno successivo, Nancy per il suo “mood” attuale è più propensa ad un posto molto meno basico rispetto al Tree House. In effetti il TH è molto carino ma anche molto spartano e ci si deve adattare, coi suoi bungalows rigorosamente in legno molto fricchettoni e con l’amaca di fuori, con bagni esterni in comune e le docce che sono in realtà vasche da cui attingere acqua che ci si versa addosso per lavarsi, insomma…per me e il mio spirito è perfetto! Resto 4 bei giorni pieni lì con l’intento di rilassarmi, tuttavia riesco a malapena a farlo perché conosco subito dei ragazzi molto simpatici e completamente fuori di testa con cui ci troviamo benissimo da subito. C’è Samuel, lo svizzero ed il suo amico/coinquilino con cui vive a Genova, Taddeus l’argentino, che si sono fatti 6 mesi vivendo per villaggi in Cambogia, al punto che Taddeus s’è comprato pure un pezzo di terra ad un prezzo veramente irrisorio! C’è poi John dalla Svezia, con cui intavolare grandi discussioni filosofiche, infine c’è Ryan dal Canada, un ragazzo di 30 anni che fa l’insegnante e che ha un sacco di tempo per viaggiare. L’ultima sera con loro ho passato dei momenti divertenti come era al nostro solito tra risate continue e discorsi profondi. Ryan mi racconta di quando coi suoi amici decidono last minute di partire per andare al Burning Man attraversando tutti gli Stati Uniti viaggiando notte e giorno per arrivare in California. Fino a quel momento non sapevo nemmeno cosa fosse il Burning Man e devo ringraziare proprio Ryan che me lo ha fatto conoscere. Sono proprio quelle informazioni che a me fanno impazzire! Come anche parlando del film “Into the Wild” uno dei miei preferiti in assoluto, anzi la colonna sonora proprio di questo viaggio “in solitaria” nel sud est asiatico prima di partire. Ryan mi ha illuminato dicendomi che a fine anni 60 un uomo aveva compiuto le stesse gesta in Alaska però riuscendoci e da cui avevano poi prodotto un documentario dal nome “Alone in the Wilderness” (che ovviamente poi mi sono vista).  Ultima chicca di Ryan è il suo sogno, che finito di insegnare, era quello di prendersi una barchetta per veleggiare e viverci. Sono sicura che Ryan su quella barchetta è riuscito ad arrivarci… Credo che come finale del mio viaggio non potevo chiedere migliore compagnia, con loro mi sono divertita in ogni istante del nostro stare assieme! Se dovessi fare un bilancio sul mio soggiorno a Koh Chang, è stato tutto perfetto…a parte le altre 3 paia d’infradito al ristorante che mi hanno preso! Praticamente non c’è stata notte che con i ragazzi abbiamo fatto…giorno! Cosicché anche la mia ultima notte lì, siamo stati insieme fino all’alba e io che avevo il pullman per Bangkok alle 8.30 non sono neanche andata a dormire perché troppo impegnata a godermi ogni attimo con loro. Per fortuna che per le 6 ore di pullman a disposizione ho dormito come un sasso per recuperare.

A Bangkok mi rivedo con Stefano la sera successiva al mio arrivo da KC, il resto della giornata la dedico all’inevitabile shopping di fine viaggio. L’ultimo giorno io e Ste stiamo insieme fino alla mia partenza per l’aeroporto.

Sentire che il tempo vola via nonostante sia stata in giro per 3 mesi mi fa conservare gelosamente nel cuore ogni istante vissuto. Bangkok mi saluta sotto uno scrosciante pomeriggio di pioggia e sopra un taxi comune verso l’aeroporto faccio la mia ultima conoscenza, Jordan, un ragazzo californiano, istruttore di rafting e “raccoglitore di funghi sulle montagne” e quindi lavoratore stagionale che gli permette così di farsi grandi mesate fuori e viaggiare (w il precariato!). Mi dà un sacco di dritte su come diventare guida rafting e io gli parlo della mia traversata del fiume fino a Vientiane (giusto per non farmi vedere sprovveduta!). Sembra veramente la conclusione di un film, noi due iniziamo a conoscerci con le solite frasi convenevoli da viaggiatori in zaino in spalla ma ironizziamo perchè la prossima tappa è…casa!

La domanda nasce spontanea…ma la casa…qual è?!!

(Aereo BKK-MXP, 23 aprile notte 2008)

I went back…sono le 14.32 locali…italiane. Concludo così il mio  diario di viaggio . Ho i brividi dal freddo , la pelle scura dall’abbronzatura che piano piano si schiarirà  e ancora le intramontabili infradito che non mi sono levata neanche sull’aereo.

I tanti pensieri che mi si presentano in viaggio sono direttamente proporzionali alla lunghezza del viaggio stesso, so bene che non è facile trasmettere completamente l’entusiasmo e le emozioni personali per un qualcosa di vissuto, ci ho provato sperando di avere fatto venir voglia di partire e sorridere con me leggendo dei posti che ho “vissuto”…

Torno in Italia perchè probabilmente lo voglio, ma conservo gelosamente l’ultimo respiro di ciò che è stato fino a solo ieri per non dire di non essere mai partita. Ancora una volta ringrazio di aver incontrato tanta bella gente sulla strada, come Mitzi o Cam, o Manu o Taddeus e Samuel…ancora una volta il mio bene si amplifica crescendo rigoglioso grazie a delle esperienze che mi danno tutto un senso di questo mondo e che me lo rendono ancora più vero nel cercare le piccole cose essenziali.

Ti voglio bene mondo…!! Al prossimo incontro…

(Italia, 24 aprile 2008)

PS OGGI: a volte ho trovato qualche internet point in cui poter completare man mano su computer ogni capitolo sulle tappe del mio viaggio, altre invece trascritte sul mio diario di viaggio cartaceo e poi ricopiate sul blog appena potuto. Non c’erano ancora smartphones e profili social per aggiornare facilmente ed in tempo reale. Questo mio “diario di viaggio” aveva l’intento di essere parte del mio blog come racconto ma anche il mezzo con cui i miei avrebbero potuto “viaggiare” con me e sapere cosa stessi facendo e provando non limitandosi a leggere ma anche a odorare le mie emozioni. Mi piace pensarla così…che loro siano riusciti a leggerlo anche se in realtà ovviamente so che non è stato così perché come quasi tutti i genitori vanno dalla parte opposta di dove va la tecnologia… questo diario è anche per voi che siete arrivati fino a qui…e ve ne sono grata! Grazie!

(NDA del 5/01/2021)

Chapter 18: L’ULTIMA TAPPA NEL PAESE…CONSIDERAZIONI SULLA GUERRA

Con un altro sleeping bus arrivo ad Ho Chi Minh City che ormai e’ gia’ buio. Al primo impatto mi sembra di stare a Bangkok, HCMC e’ grattacieli, grandi negozi, centri commerciali, locali notturni, cavalcavia e tanta altra visibile opulenza. Nella guest house faccio la stessa considerazione al ragazzo che mi porta a vedere la camera, aggiungo inoltre che Hanoi e’ di stampo molto diverso. Lui giustamente mi tiene a ricordare che Hanoi e’ comunista e che loro sono capitalisti. E’ incredibilmente vero e nonostante sia finita la guerra, Hanoi che ora puo’ godere degli scambi commerciali, non ha perso il suo fascino di citta’ d’altri tempi che la fa dunque sembrare apparentemente meno evoluta e disposta ad integrarsi col resto del mondo.

 

Sono i miei ultimi giorni in Vietnam e qui ce ne staro’ solo 2, il terzo partirò ancora una volta per la Thailandia, perciò cerco di organizzarmi bene visto che ci sono delle cose che tengo molto vedere.

 

Vado quindi sul delta del Mekong, uno spettacolo naturale che delinea la fine di uno dei piu’ grandi fiumi dell’Asia. Contornato da case e mercati galleggianti i cui unici veicoli utilizzati per spostarsi sono appunto le barche. Qui il Mekong prende le forme di un pittoresco luogo dai connotati molto originali rispetto ad altre parti in cui è solo “fiume”. Ho anche l’occasione di fare un’escursione in bicicletta tra miriadi di canali collegati tra loro da ponticelli.

 

Il giorno successivo lo dedico alla visita dei tunnel a circa 50 km da HCMC in cui i Vietcong durante la guerra, si rifugiavano per non essere scovati dagli americani. Un posto direi agghiacciante. La nostra guida porta la sua testimonianza, anche se a quei tempi era ancora molto giovane, ma non abbastanza per dimenticare. La guerra del Vietnam in fin dei conti non è finita da molto tempo anche se apparentemente in molti luoghi sembra che ci si è già dimenticati delle atrocità subite e dei danni arrecati, ancora una volta qui in Indocina, ad un’intera nazione. I Vietcong per non essere scoperti dagli americani che durante il giorno principalmente bombardavano ovunque, si erano scavati una serie di gallerie chilometriche in cui si nascondevano durante il giorno. Inutile dire che entrare in uno di questi tunnel significa sentire salire completamente il senso di soffocamento. Tengo a precisare che gli americani hanno indistintamente ammazzato civili e militari poichè non avevano la certezza di sapere chi era Vietcong e chi no!!! Le atrocità avvenute in guerra non hanno pari, a volte sembra che il tutto si possa definire un grande errore. Gli americani stessi che si sono sentiti in dovere di venire in aiuto ai capitalisti del Vietnam del sud, dovevano assolutamente inseguire i propri ideali di nazione in cui il senso di supremazia e il potere economico ne fanno da padroni. Un gran bel compromesso che però non ha tenuto conto del fatto che avrebbe portato alla morte di migliaia di propri connazionali. La coscienza collettiva americana si risvegliò abbastanza tardi per poter evitare un cotale spargimento di sangue. Nacquero si’ movimenti pacifisti, ma si schieravano ad un qualcosa che ormai aveva raggiunto un “punto di non ritorno” poiche’ sfuggito eccessivamente dal controllo. Se la maggioranza voleva la “pace” si continuava comunque a combattere perche’ ormai entrati in un circolo vizioso da cui uscirne solo dopo aver contato il maggior numero di vittime tra le varie fazioni. 

 

A sud della regione di HCMC si trova un altro luogo ancora piu’ articolato coi suoi tunnel che pero’ non sono riuscita a visitare per il tempo ridotto a disposizione. Tengo a menzionarlo in quanto questi tunnel, vicini al villaggio di Vinh, sono ancora piu’ articolati e piu’ belli. Inoltre il museo costruito accanto, e’ ben organizzato per sensibilizzare e far riflettere chi va a visitarlo. In questi luoghi hanno combattuto truppe australiane e si trova un cimitero militare di tutte le loro vittime che insieme alle altre tante nazioni coinvolte nel conflitto hanno purtroppo perso la vita. Qui si puo’ facilmente aver l’occasione d’incontrare e conversare con qualche ex veterano. Non c’e’ miglior testimonianza delle emozioni e gli atroci ricordi di chi le cose le ha vissute realmente. Una ragazza vietnamita mi ha appunto raccontato di un signore australiano che visitando il cimitero, ha ritrovato la tomba di un suo carissimo amico che era stato mandato in Vietnam a combattere e la scena che ne segui’ mi disse fu molto toccante.

 

L’ultimo giorno, come ultima testimonianza di un’altra guerra senza senso, decido di andare al museo dei residuati bellici. Durante il tragitto che mi distanzia dal museo, mi imbatto nell’ennessima strada trafficata da migliaia di motorini cercando di attraversarla! Dopo un bel po’che sto ancora lì comincio a pensare di attraversarla dribblandoli tutti auspicandomi di evitare il suicidio. Col mio pensiero fatto decido di rischiarmela, sennonché uno di questi motorini si accosta e il ragazzo che lo guida si toglie il casco. Riconosco così il ragazzo con cui sono andata a vedere il tempio delle Giare a Phonsavan in Laos, una coincidenza incredibile! Qualche giorno prima avevo proprio dedicato a lui un pensiero, proprio perche’ mi ricordavo avermi detto di abitare ad HCMC ma avevo anche ovviamente pensato che data la dimensione della citta’ e la numerosa popolazione, sarebbe stato impossibile incontrarlo. Ma così non è stato! Lui stava proprio lì…in una stradina qualunque di HCMC! Abbiamo parlato un po’, lui era appena rientrato dal suo viaggio di un mese in Laos ed aveva ricominciato le lezioni all’universita’. Mi ha fatto molto piacere parlare con lui, dopodichè mi offre un passggio fino al museo col motorino (grande idea…così almeno riesco ad oltrepassare quella strada trafficata!). Ci scambiamo gli indirizzi mail, poi lui scappa a lezione ed io finalmente entro nel tanto agognato museo.

 

Anche qui, rivivo le atrocità del passato e del presente piu’ assurde. Oltre a informazioni che conosco già mi faccio un’ampia cultura sull’agente arancio, con cui gli americani disseminavano il territorio e che era in grado di provocare danni fisici molto gravi alle vittime che ne venivano a contatto. Nel museo si può inoltre trovare un’ampia documentazione dei luoghi, della quantità, degli effetti chimici devastanti e soprattutto foto di persone…appunto deformate…molte delle quali in vita oggi. 

 

Un altro interessante argomento, oltre alla parte dedicata alle campagne pacifiste pro-Vietnam da parte di tutto il mondo, è quello dei campi di rieducazione. Sulla stessa falsariga dei Khmer Rossi, questi campi venivano utilizzati per “rieducare” i vietnamiti che andavano contro il regime. Come ho gia’ detto nel capitolo precedente, ancora oggi dovrebbe essercene uno in funzione che accoglie i prigionieri politici.

 

Ancora una volta, dopo la Cambogia, ingoio amaro e mi fermo a riflettere. Partecipo col cuore al dolore patito da migliaia di persone e ancora una volta…ringrazio di essere nata in una realtà storicamente diversa, più fortunata. Ne faccio tesoro per cercare di comportarmi bene col prossimo e con me stessa, trascurando le cose eccessivamente superficiali che al contrario nel nostro tempo abbondano.

 

Nel tardo pomeriggio giunge l’ora di congedo dal Vietnam per rientrare definitivamente nella mia ultima meta asiatica…ancora una volta la Thailandia.

 

(Koh Chang, 23 aprile 2008)

 

Chapter 17: ALLA VOLTA DEL SUD…

Ho abbandonato il mio travelmate  Andrew per strada, sinceramente l’ho  trovato poco  d’iniziativa e soprattutto avevo  proprio voglia di viaggiare da sola! Con uno "sleeping bus" molto confortevole, che al posto dei sedili ha dei veri e propri letti, mi sono diretta ad sud alla volta di Hoi An. Ovviamente anche qui in Vietnam come per il resto dell’Asia ci sono le solite "fregature". Il tipo che mi ha venduto il biglietto mi ha spacciato come diretto lo sleeping bus  fino ad Hoi An dove da Hanoi ci vogliono circa 12 ore per arrivare. In realta’ l’indomani dalla mia partenza, verso le 6 del mattino mi son ritrovata ad Hue’ a 3 ore  di distanza da Hoi  An, con una sosta di sole 6 ore d’attesa per la coincidenza! Vabe’ a questo  punto, vado a fare colazione di fronte al terminal dei bus prima di rilassarmi un po’. Nella caffetteria trovo un ragazzo francese che sta facendo 6 mesi di esperienza in Vietnam in un’organizzazione non governativa il cui progetto e’ quello di coinvolgere i giovani del posto ad imparare a fare  i dolci e il pane (in puro stile francese), creando cosi’ occupazione ed una alternativa di fonte di guadagno. Ne discutiamo un po’, dal punto di vista della sostenibilita’ si  potrebbero  fare dei discorsi a parte che prescindono dalla  globalizzazione, da un  altro direi che queste persone cercano di dare lavoro ed opportunita’ a chi qui non ne ha percio’ ben venga!
 
Dopo la coinvolgente conversazione e la colazione, ho ancora parecchie ore libere e con la guida in mano, noto che  la citta’ e’ abbastanza piccola da poterla visitare  in una mattinata. Ho pure incrociato due ragazzi francesi conosciuti nella mia gita ad Halong Bay, con uno dei due, lui di origine vietnamita, durante il rientro da Halong Bay mi ero fatta spiegare un mucchio di cose sulla situazione del paese, lui inoltre mi aveva portato pure la testimonianza dei suoi nonni per quanto riguarda  i "campi di rieducazione" (mi dice, che uno e’ tutt’ora esistente, ma poiche’ i media ne non danno notizia, la realta’ passa tragicamente inosservata).  Quella mattina mi saro’ mangiata chilometri di strade. Quando sono ritornata a prendere il pullman, avevo abbastanza stanchezza  addosso per svenire sul sedile! 
 
All’alba delle 6 di…sera (quindi in totale da Hanoi, 24 ore di viaggio…) finalmente giungo ad Hoi An,  una bellissima cittadina situata sulla costa esattamente nel centro della cartina del Vietnam. Questo posto e’ un angolo molto caratteristico dalle viuzze  variopinte che  si affacciano sul fiume. Il posto è talmente carino che e’stato  considerato patrimonio mondiale dall’UNESCO. Dopo aver trovato una guest house molto economica mi sono subito precipitata a vivere la citta’. Rincontro in  un ristorantino 2 ragazzi tedeschi che mi avevano dato qualche dritta su dove andare a dormire qui, mi unisco a  loro,  ci  mangiamo  una cosa insieme e poi andiamo in un altro  posto dove  ci sono altri ragazzi in viaggio ad Hoi An, le ovvie conversazioni intavolate mirano su "dove sei stato" "da quanto tempo stai in giro" ecc. In particolare mi colpisce la storia di Max. Un ragazzo tedesco che nella vita fa l’attore ed ha trovato come suo spunto d’ispirazione il Vietnam al punto tale che ci si è trasferito per un anno almeno, girandolo in moto in ogni suo angolo, da cui ne vuole poi produrre un film.
 
Il giorno dopo vado  a vedere  il sito archeologico di Mae Sae, simile ad Angor Wat in Cambogia, con cui non c’e’ paragone, ovviamente Angor e’ molto piu’ spettacolare. Anche qui faccio amicizia con dei ragazzi francesi e spagnoli con  cui la  sera  ce ne  andiamo a  mangiare su un bar  sulla  spiaggia dove trovo un bellissima cucciola identica a Sat!! Me la spupazzo tutta la sera e lei mi sta tutto il tempo sulle ginocchia a prendersi  le coccole. Me la porterei  in Italia, come ho fatto con Sat,  ma  e’troppo un casino perche’ prima devo oltrepassare due  stati! Allora a malincuore la  lascio li’, che tanto se sta nel bar le daranno da mangiare!
 
Il giorno dopo e’ il mio ultimo giorno ad Hoi An, ma ho il pullman la sera cosi’ coi ragazzi francesi ci noleggiamo le biciclette e ce ne andiamo al mare che si trova a 4 chilometri circa. Il posto che scoviamo e’ molto carino e non c’e’ nessuno. Nel frattempo nello stesso tempo ci raggiungono Max il ragazzo tedesco conosciuto la prima sera ed un suo amico. Verso il pomeriggio, rientriamo ad Hoi An e siccome non ho piu’ la stanza, le 2 ragazze francesi mi "offrono" una doccia da loro, almeno parto pulita (una vera rarità qui a volte!).
 
La mia prossima destinazione e’ Mui Ne’. Un paradiso in terra con un microclima invidiabile rispetto al resto del paese. Anche stavolta viaggio tutta la notte e la mattina finalmente apro gli occhi e vedo per la prima volta il cielo veramente ed intensamente azzurro. Mui Ne’ e’ molto piccola e si estende per 10 chilometri circa su tutta la costa. Stavolta mi tratto bene e non bado a spese. Sborso 15 euro a notte per avere il bungalow da paradiso di fronte alla spiaggia. Decido di restare li’ per 3 notti. La sera stessa incontro Maxx e Stefan, 2 ragazzi tedeschi conosciuti sul pullman, il giorno dopo con loro decidiamo di prendere una gita per andare a vedere le dune di sabbia, caratteristiche di questo luogo. Prenotiamo la jeep per la mattina dopo molto presto verso le 5 per vedere l’alba sulle dune, ma poiche’ la sera prima abbiamo fatto un "po’" (!!!) la mattina dopo non si e’ svegliato nessuno. Ci abbiamo riprovato nel pomeriggio per riuscire a vedere almeno il tramonto. Ed e’ stato bellissimo lo spettacolo che ci siamo ritrovati davanti vedendo le dune! Queste dune di un giallo intenso, nascono naturalmente immezzo ad una vallata e si estendono per chilometri e chilometri. Ovviamente c’erano i soliti milioni di turisti, cosi’ per evitare di godermi lo spettacolo con loro me ne sono andata 4 dune piu’ avanti. Sotto il caldo sole delle 17 e sprofondando i pieni nella sabbia, m’immaginavo nel deserto del Sahara perduta inmezzo al nulla e a come sarei sopravvissuta. Sprofondando fino alla quarta duna, ormai ansimavo dalla fatica, ma ne e’ valsa la pena. Mentre le caterbe di turisti cominciavano ad andarsene. Insomma alla fine eravamo rimasiti solo noi 3!
 
La sera, rientrati dall’escursione, ho reincrociato Carolina, una ragazza brasiliana conosciuta la sera prima e l’ho invitata ad unirsi a noi per cena. Carolina e’ una di quelle accanite viaggiatrici che si sta facendo l’intero mondo per 1 anno. Ed e’ veramente una rarita’ vedere una della sua nazionalita’ da queste parti. Abbiamo passato una bella serata ma il giorno dopo sarebbe stato il turno di andare ad Ho CHi Minh, l’ultima mia tappa in Vietnam…
 
(Bangkok, 20 aprile 2008)

Chapter 16: SERATE VIETNAMITE

Io e Manu, molto “sostenibili”, quella sera ad Hanoi ce ne siamo andate a mangiare in uno di quei baracchini che si trovano sulla strada e che fanno un ottimo barbecue e con soli 2 euro ci siamo fatte la grigliata di pesce.
 
Abbiamo parlato di tante cose con la voglia di conoscersi di piu, di scambiarsi riflessioni e soprattutto di trascorrere una bella serata insieme. Lei non sa quando rientrera’ in Francia, ha mollato il suo lavoro per poter viaggiare fino a quando puo’ permetterselo e per poter fermarsi nei posti piu’ incontaminati partendo dal Vietnam per poi risalire verso la Cina fino la Mongolia e da li’ forse proseguendo con la Transiberiana.
 
Dopo la grigliata ce ne siamo andate in un altro baracchino tipico di queste parti dove ti servono la tipica birra locale la “Hay Hoi”, molto economica e le cui caratteristiche fanno si’ che possa essere bevuta solo nell’arco di poco tempo date le sue proprieta’ . I baracchini che la vendono sono facilmente riconoscibili perche’ hanno delle enormi grandi cisterne in cui vengono riempite le pinte. Accomodarsi in un luogo simile ti permette di vivere la strada e di fare facilmente amicizia con qualche locale o avventore che si siede per rilassarsi sorseggiando questa birra e nel frattempo osservando i passanti che sfilano di fronte ininterrottamente. Accanto a noi, stavamo seduti una coppia di 50enni americani che non hanno perso occasione di parlare con noi, intavolando la solita conversazione sullo scambio dei propri itinerari di viaggio o suggerimenti sui posti migliori dove fare buoni acquisti.
 
Stavamo molto bene e soprattutto tranquille li’ senonche’ abbiamo vissuto un incubo. Un ragazzino che vendeva libri per strada, ad un carto punto, ci si siede accanto e comincia a scherzare insieme a noi. Ci racconta un po’ di come vive. Ma improvvisamente, dopo un po’ che stava li’, come vivendo in un film ho visto avvicinarsi al nostro tavolino dei ragazzi con delle bottiglie di vetro vuote tutti intenzionati a scagliarli nella nostra direzione. Io d’istinto cerco una via di fuga che purtroppo non c’e’ perche’ sono circondata da dei tavolini; non so che fare…Nel momento in cui i ragazzi lanciano le bottiglie chiudo gli occhi sperando di non essere colpita. I ragazzi scagliano le bottiglie verso il ragazzino che cerca di disvincolarsi in qualche modo. Ma i ragazzi lo brancano e cominciano subito dopo a prenderlo a pugni e calci davanti ai nostri occhi. Lui all’inizio e’ a terra circondato ma per fortuna con uno scatto riesce a rialzarsi e a scappare velocemente creandosi un varco tra di loro. Gli altri ragazzi, saranno una decina in tutto, allora lo inseguono e tutti scompaoiono dietro l’ultima curva, sotto gli occhi di molti passanti increduli dello spettacolo. La situazione e’ pietrificante, mi sembra di essere in un film di Bruce Lee in cui c’e’ la risoluzione dei conti. Siamo tutti sconvolti  e la prima cosa che faccio appena i ragazzi si allontanano e’ accertarmi che Manu e gli altri stiano tutti bene. Per fortuna nessuno di noi due ha incredibilmente incrociato la traiettoria del lancio delle bottiglie dato che tutti i pezzi di vetro alla fine erano praticamente sotto ai nostri piedi! La povera donna proprietaria del baracchino e’ molto arrabbiata ed amareggiata dalla scena vissuta, perche’ cosi’ perde i clienti che dallo spavento che magari quella non e’ una zona tranquilla da lei non ci vanno piu’. Ci spiega che i ragazzini che vendono libri sulle strade lo fanno illegalmente e di conseguenza non si possono fermare per troppo tempo in un posto per non essere notati loro in primis e subito dopo mettendo in mostra tutta la categoria degli ambulanti. Questo comporta da parte di tutti loro della creazione di un codice di comportamento da seguire che se viene infranto porta a violente scene come queste. Mi auguro vivamente che il ragazzino sia riuscito a scappare. Credo che dalla giovane eta’ a volte la voglia di trasgedire sia normale, ma aleggia anche un’incoscienza e soprattutto la voglia di lasciarsi giustamente andare dalla sua cruda realta’ per cercare ogni tanto di svagarsi sedendosi per qualche minuto semplicemente accanto a noi a conversare. Dura concessione nei vicoli di Hanoi…
 
Io e Manu completamente sconvolte e il battito accelerato, ci spostiamo da li’ purtroppo per le donne del baracchino , perche’ abbiamo bisogno di ripigliarci un attimo. La nostra serata e’ proseguita altrove e gradatamente ci e’ tornata la tranquillita’ ma non abbastanza per farci stare in giro tanto tempo, entrambe avevamo bisogno di tornare nelle nostre stanze a rilassarci e a far passare la giornata fino a quella successiva.
 
Ci siamo salutate col pensiero rivolto al destino che se sara’ magari un giorno ci rincontreremo. Tutto il bene per Manu…
 
(Tree House, 18 aprile 2008)

Chapter 15: VIETNAM…PENULTIMO ATTO

– V I E T N A M –
 
Che dire del Vietnam..Un paese con le sue contraddizioni, con le sue cicatrici, che piano piano con successo sta cercando di dimenticare le estreme sofferenze patite con la guerra. L’ho percorso tutto da nord a sud, da Hanoi ad Ho Chi Minh, purtroppo poco lentamente e non abbastanza per scovare maggiori particolarita’, ho tuttavia abbastanza percepito il suo spirito, la sua cultura che ovviamente si fa avvolgere dalla volonta’ del capitalismo, tanto agognato e conquistato al punto di ricevere le ovvie conseguenze della globalizzazione.
 
HANOI
 
Ho poco apprezzato l’eccessiva confusione, come tanti scaffali di un magazzino da riordinare, la gente del luogo deve ancora capire il giusto collocamento di ogni cosa.
 
Qui si contano quasi piu’ motociclette che persone, le quali poco curanti dei pedoni, sfrecciano con un’apparente non criterio, ma in realta’ e’ tutto sottocontrollo. Il cielo e’ di un colore indecifrabile, grazie all’eccessivo smog ed anche probabilmente per la stagione.
 
Il resto di Hanoi e’ contradditorio, poiche’ si e’ inventato uno stile capitalista tutto suo senza completamente abbandonare le proprie origini filocomuniste. Si possono scorgere zone di svago, a mio parere, molto pacchiane, direi il "kitch" estremo.
 
Il quartiere vecchio, dove io alloggio, e’ il piu’ caratteristico, ma qui resta evidente l’influenza del colonialismo francese. E’ comunque una zona molto vivace ed e’ piacevole passeggiare cercando di evitare di essere investiti dai motorini!!
 
Qui i "templi" sono monumenti in onore di qualche eroe nazionale e le "pagode" sono i templi veri e propri.
 
Ho apprezzato molto il museo etnologico, se non fosse stato per le orde di scolaresche (tuttavia e’ giusto che ci vadano, anche se magari, a quell’eta’ ne farebbero a meno!).
 
La gente, nonostante qualche amico conosciuto in viaggio mi avesse detto che al nord e’ piu’ rude, l’ho trovata disponibile e a volte anche fin troppo invadente, ma comunque sempre in modo cordiale in perfetto stile asiatico. Il mio primo impatto antropologico e’ stato con una ragazzina incontrata sul local bus che dall’aeroporto portava alla centro citta’. E’ stata molto carina ed eccessivamente disponibile, sia per sua natura sia perche’ intenzionata a mettere in pratica il suo inglese. E’ cosi’ successo che spacciandosi molto capace nell’intendere la lingua anglofona, mi ha fatto cambiare il pullman ad un certo punto fino a farmi andare dalla parte sbagliata della citta’, senza considerare il fatto che anche lei andava nella direzione sbagliata rispetto a casa sua pur di non interrompere la conversazione! Io dalla cartina, me n’ero resa conto, non volevo urtare la sua suscettibilita’ ma comunque gliel’ho fatto notare. Ma lei insisteva che era il pullman giusto…e fin qui ci siamo…il pullman giusto ma dalla direzione sbagliata! Morale della favola, mi son fatta il city tour fino ad Hanoi e sono arrivata a destinazione dopo circa 3 ore in piu’! Insomma il denominator comune di tutte le persone conosciute qui e’ lo stesso, tutti vogliono praticare l’inglese se lo stanno imparando a scuola, cosi’ attaccano facilmente bottone.
 
Visitare il Mausoleo del presidente Ho Chi Minh e’ interessante da un punto di vista socio storico. Tutti incolonnati e ligi a dei regolamenti per non mancare di "rispetto" alla salma, ci si avvia all’interno della sala come immergendosi in un’atmosfera anacronistica di ovvio stampo comunista. Non sono mai stata a Mosca, ma lo stile e l’architettura del Mausoleo e poi anche tutta la citta’ sono quello. Un altro richiamo dello stile mi evoca inoltre l’Havana. La fila per entrare al Mausoleo e’ chilometrica, lungo un immenso piazzale stile Piazza Rossa che si estende di fronte al Mausoleo. Tuttavia la fila scorre molto velocemente ed accompagnati dallo sguardo vigile delle guardie vestite con candide uniformi, ci si dirige velocemente verso l’interno. Ecco finalmente la salma di HCM, perfettamente conservata ed imbalsamata e siccome dalle mie parti vige il diritto di pensiero, aggiungerei pure che e’ perfettamente imbalsamato come si usa fare ai musei di scienze naturali con le specie animali. Piu’ che osservare HCM, e’ interessante osservare le reazioni e gli sguardi dei vietnamiti che considerano questo un luogo di pellegrinaggio come La Mecca per gli arabi. Vorrei entrare dentro le loro teste per vivere le loro emozioni date dai ricordi e dalle sofferenze dei piu’ anziani, e come qui al Mausoleo, anche in tutti quegli altri posti al mondo che ho visitato in testimonianza della guerra.  (aereo HCM- BKK 9 aprile 2008)
 
HALONG BAY
Il mio amico Andrea di Roma, mi aveva sconsigliato di andarci perche’principale meta di coppiette in viaggio di nozze. Ma che fai…sei nel nord del Vietnam e non ci vai? Non vai in uno dei paradisi naturali piu’ belli al mondo?! Tralaltro proclamato patrimonio mondiale dall’UNESCO.
 
Per i pochi giorni di viaggio a disposizione nel nord, inevitabilmente, mi sono affidata alla mia guest house che organizzava tutto per trasferimento e pernottamento di 1 notte sulle isole. Ho scelto ovviamente un’opzione molto basica in linea con la mia filosofia. Cosi’ la mattina dopo, con un pullman sono partita fino alla costa, da cui mi sarei poi imbarcata sopra un barcone stile pirati fino ad Halong Bay.
 
Arrivata al porto, l’impatto e’ stato traumatico…non solo qualche coppietta in luna di miele ma…orde e orde e ancora orde di turisti e di barconi in acqua. Avrei voluto tanto scappare, sennonche’ ho avuto un reciproco amore a prima vista per Manu, una donna francese di quasi 40 anni con cui ho legato immediatamente. Lei mi racconta che ha mollato lavoro, casa, fidanzato, tutti per partire dopo aver lavorato per piu’ di 10 anni nel sociale, aiutando gli immigrati ad integrarsi in Francia. E’ molto pacata e apparentemente serena, sicuramente molto in linea con un viaggio in cui hai voglia di scontrarti con nuove culture. Halong Bay e’ comunque un passaggio obbligato nonostante le orde di turisti, poiche’ e’ cio’ che di piu’ spettacolare a livello naturale trovi qui. Con altri ragazzi, io e Manu, ci siamo ritrovati sopra ad uno di questi barconi su una piattaforma per ammirare al meglio il paesaggio.
 
L’arrivo tra le splendide isole che contaminano Halong Bay non ha pari: la forma delle rocce e’ estremamente affascinante e completamente atipico rispetto a quello che siamo abituati a vedere con i nostri paesaggi marini, i colori del mare e delle piante che ravvivano le isole di roccia sembrano artisticamente scolpiti ed impressi apposta da un pittore per stupire chi li ammira.
 
La sera, io e Manu ci dividiamo, poiche’ lei ha optato per dormire sul barcone ed io invece sull’isola cosi’ posso farmi un giro anche li’. In hotel grande sorpresa, ci dividono a gruppi di 2 per stanza e c’era Lisa, una ragazza inglese che viaggia da sola che avrebbe dovuto dividere la stanza con un 45enne tedesco sconosciuto…cosi’ la salvo e dormiamo insieme io e lei! La sera sull’isola con altri ragazzi, andiamo in esplorazione. Guarda caso quella sera, l’isola era tutta in festa, addobbata pronta a sparare i fuochi d’artificio per festeggiare il 50ennio della venuta a Ca Ban Island di Ho Chi Minh. Il giorno successivo, di buon ora, io e gli altri ragazzi rientriano sul barcone, dove Manu mi stava aspettando.
 
Tra le altre persone che mi colpiscono particolarmente e con cui lego altrettanto piacevolmente, c’e’ Ruthya una ragazza (madre?) australiana che ha una bellissima bimba di 3 anni, dai boccoloni biondi e 2 immensi e profondi occhi blu che si chiama Macy. Ribattezzo immediatamente Macy come la bimba "fricchettona", perche’ Ruthya a parte vestirla da mini fricchettona, la lascia libera e spensierata, la lascia camminare a piedi nudi senza continuamente soffocarla con quell’eccessiva apprensione che tanto se lasci un po’ piu’ libero un bimbo nell’eta’ dei perche’ e delle curiosita’ riesce solo a esprimere maggiormente se stesso e legare ancora piu’ spontaneamete con il mondo. Ruthya mi dice che non e’ facile viaggiare da sola con una bimba cosi’ piccola, ma si e’ ben organizzata (come solo gli australiani, molto pratici sanno fare) e il suo zaino ha la duplice funzione di portare l’essenziale ed essere strutturato addirittura da porte-enfant!
 
Passo il tempo li’ a giocare con Macy, mi diverto ad incuriosirla e ad inventarle qualche giochino sul momento. E’incredibile il livello di comunicazione che si puo’ instaurare con un bambino nonostante stia imparando a parlare una lingua che non e’ la tua, la comunicazione si sposta verso altri punti di osservazione e nonostante appunto il blocco linguistico ci capiamo e nasce una perfetta intesa ed interesse l’uno verso l’altro. Macy e io insomma ci divertiamo un sacco e ci creiamo il nostro piccolo mondo insieme. Ruthya lo nota e apprezza molto la mia "pazienza". Quando ci salutiamo perche’ ognuno va per la sua strada e mi dice di andarla a trovare in Australia, cosi’ ci scambiamo le mail.
 
Il giorno dopo la mia gita ad Halong Bay sarei ripartita da Hanoi alla volta del sud, cosi’ io e Manu ci siamo organizzate per cenare insieme la sera stessa e chiaccherare un po’… (Tree House, 15 aprile 2008)
 
 

Chapter 14: CIAO LAOS…

Dico "ciao" perche’ spero di tornare non so quando…mi e’ piaciuto veramente tanto questo posto!

I suoi profumi, i suoi luoghi incontaminati, la sua natura prorompente che ti sovrasta con tutto il suo splendore e t’ingloba completamente fino a sentirti fusa con essa dandoti l’irrefrenabile voglia di "giocarci" in tutti i modi: correndo, nuotando, comunicando…

Persino le citta’ hanno una dignita’ estetica ed organizzativa che si presenta ai tuoi occhi molto armoniosamente.

Ma il pezzo forte, quello che ho sentito travolgermi completamente, sono le persone. I laotiani hanno una ricchezza interiore che non ha pari e soprattutto e’ contagiosa. Qui ho trovato i sorrisi piu’ belli del mondo e la purezza d’animo. Ho trovato la cordialita’, la disponibilita’ e la solidarieta’. Dico poco quando dico che mi mancheranno, perche’ queste persone con la loro energia (che sanno di avere ed e’ bellissimo!) ti contagiano e ancora una volta il bene dentro di te cresce.

Good luck Laos…

(Vientiane, 29 marzo 2008)

Chapter 13: LA RISALITA DEL FIUME

Dopo i "rilassanti" giorni trascorsi a Vang Vieng, l’avventura di quei luoghi non poteva concludersi col miglior senso…raggiungere la successiva meta ovvero la capitale, via…fiume col kayak!

Con altri ragazzi abbiamo noleggiato un pullmino e i kayak con cui avremmo percorso il fiume per circa 3 ore fino alla sponda successiva, da cui Vientiane sarebbe stata raggiungibile con un altro mezzo dopo circa 1 ora. Io ho voluto fare un po’ la "sborona" perche’ sono stata l’unica a richiedere il kayak singolo, ma se le cose non si vivono fino infondo non c’e’ gusto! Alla base di partenza, dopo qualche istruzione, ci siamo avviati lungo il fiume. Solo un punto del fiume sarebbe stato difficoltoso con delle rapide abbastanza ripide. Gli altri ragazzi in due per ogni kayak, erano ovviamente piu’ veloci di me e soprattutto alternativamente si potevano riposare. Ogni tanto qualcuno si accostava nel dirmi quanto io fossi coraggiosa. Io apprezzavo il complimento cercando in realta’ di non ostentare la fatica fantozziana che spesso mi assaliva!

Percorrere il fiume e osservare cos’avevo intorno non ha pari. Stare da sola sul kayak ancora di piu’. Prima di partire per l’Asia, ho avuto il piacere di vedere uno dei film piu’ toccanti e profondi degli ultimi tempi, che mi ha lasciato un segno dentro e non nego che ci penso spesso: Into the Wild. Mi sono sentita come il personaggio del film che ha cercato di raggiungere il messico via fiume! Ho vissuto delle sensazioni incredibili di profondita’ dell’attimo che stavo vivendo. Ogni tanto chiudevo gli occhi per non perdere l’istante calibrando gli altri miei sensi, un’esperienza pura che mi ha riempito ancora una volta di energia che ora fa parte di me.


Ad un certo punto siamo arrivati alla rapida, i tipi che stavano con noi ci hanno di nuovo spiegato come affrontarla, ovvero di pagaiare il piu’ velocemente possibile per agevolare la forte corrente, avvisandoci inoltre che molto probabilmente saremmo caduti dai kayak. Ci hanno quindi detto come meglio cadere per farci  meno male, visto che era pieno di sassi ! Ci siamo messi tutti in fila, un kayak dietro l’altro davanti alla rapida, io non ci ho pensato due volte e ho voluto essere la prima…matta! Cosi’ mi son buttata! Adrenalina pura! Ho fatto la rapida senza batter ciglio e la cosa incredibile che mi son ritrovata dall’altra parte tutta intera e senza essere caduta. Una grande soddisfazione personale! Alla fine della rapida c’erano gli scogli dove ci saremmo fermati a preparare da mangiare, cosi’ ho parcheggiato il mio kayak li’ e mi son messa seduta su una roccia al lato della rapida per ammirare i miei compagni che uno dopo l’altro l’affrontavano. Son caduti praticamente quasi tutti, tranne qualcuno, tenendo presente che eran tutti in coppia per me e’ stata una vera soddisfazione.

Dopo che tutti si son fatti la rapida, ci siamo seduti sulle rocce ai lati del fiume ed abbiamo cominciato a grigliare. Spiedini e ovviamente…riso! Per dessert, una banana. Dopo il pranzo qualche raggio di sole rapito e poi abbiamo ricominciato la risalita del fiume alla volta di Vientiane. Prima di giungere alla fine del fiume, i nostri accompagnatori ci hanno proposto di tuffarci da un’alta roccia al lato del fiume, giusto per divertirci e anche in questo caso…come dire di no!? Dopo i tuffi di nuovo a pagaiare, nel frattempo il sole si faceva sempre meno pungente perche’ erano quasi le 5 e i colori si facevano sempre piu’ accesi, una vera ricompensa dopo tanta fatica!

Dopo circa 3 ore come previsto, siamo arrivati alla riva successiva. Le nostre guide sono tornate a Vang Vieng e recuperati i nostri zaini che ci hanno seguito con un pullmino fino li’, siamo saliti su un camioncino per percorrere gli ultimi chilometri. Il camioncino era un furgoncino dietro e’ riadattato con 2 panche lunghe per far sedere le persone, una di fronte all’altra e riparate da una specie di garitta. Infilati prima gli zaini e poi noi siamo entrati quasi tutti. Dico "quasi" perche’ io e Caesar, un ragazzo californiano/messicano non avevano posto per sederci dentro perche’ tutto occupato dagli zaini e dagli altri 8 ragazzi! L’unico posto rimasto era una sporgenza metallica del camioncino al di fuori della garitta su cui si puo’ viaggiare solo in piedi. Dura a spiegare com’e’ ma sforzatevi con l’immaginazione! Morale della favola, io e Caesar eravamo i "privilegiati" nonostante tutto, perche’ a stare fuori dalla garitta, ci siamo vissuti le strade e le persone lungo il nostro viaggio.

I laotiani sono fantastici, ogni volta che sorpassavamo qualche motorino o macchina o bicicletta…insomma tutto, era divertente osservare le persone alcune imbarazzate nel sentirsi osservati, altri pronti a salutarci, ma tutti non si stancavano mai di regalarci un sorriso. Noi scambiavamo volentieri i nostri sorrisi e saluti con loro. Nel frattempo, il tramonto si avvicinava sempre piu’ ed era sempre piu’ percettibile lungo i verdissimi campi che costeggiavamo.

All’alba delle 18.30 siamo arrivati a Vientiane. Il furgoncino ci ha lasciato lungo il fiume e abbiamo cominciato a cercare le stanze. Un orario peggiore di quello per arrivare in citta’ non ci poteva essere, perche’ quasi tutti i backpackers arrivano prima e quindi meglio alloggiano! Cosi’ dopo ore di ricerca ci siamo ritrovati a condividere una camerata! Abbiamo legato molto con i ragazzi del kayak, in particolare con Caesar, Rebecca e Dave del Canada. Insieme a loro ci siamo passati le 2 giornate a Vientiane prima di salutare il Laos.

La prima sera mentre stavo passeggiando lungo il fiume e mi sono sentita chiamare, era Francesca la ragazza italiana di Vang Vieng e il suo amico olandese, cosi’ abbiamo creato un mega gruppo di gente. Ce ne siamo andati a giocare a bowling coi laotiani e poi in puro stile english ho vissuto la "deep dringking culture" degli inglesi che la sanno proprio lunga!

Devo dire che Vientiane non mi ha particolarmente colpito come invece Louang Prabang, nonostante sia comunque caratteristica sempre nel senso coloniale francese. Tuttavia ci sono molti cinesi che ne hanno influenzato il commercio e la quotidianita’.

Sabato mattina successivo, ancora una volta una nuova avventura, targata Vietnam!

(Hoh Chi Minh City, 9 aprile 2008)

Chapter 11: IL PAESE DEI BALOCCHI

Altro giro altro regalo…Vang Vieng! Il mio caro amico Luchino di Roma mi aveva avvisato a cosa sarei andata incontro da queste parti ed infatti Vang Vieng, ad un centinaio di chilometri dalla capitale, e’ esattamente quello che mi aspettavo! Innanzittutto ho scovato una guest house giusto di fronte al fiume per deliziarmi nel relax piu’ totale dalle post serate e strategicamente vicino ad un raggae baretto con le amache che danno verso il fiume, le montagne che ogni sera vengono bagnate da uno spettacolo di tramonto!
 
Vang Vieng e’ immerso in un verde incredibile inmezzo alle montagne e delineato da un pittoresco fiume! La natura qui e’ cosi’ prorompente che ti viene proprio voglia di tuffartici inmezzo per farne parte. Cosi’ le nostre giornate sono trascorse all’insegna delle escursioni di qualunque tipo.
 
La prima escursione e’ stata alle grotte. Ce ne sono circa un centinaio in questa zona, noi ne abbiamo viste due nella seconda giornata e la seconda grotta, poiche’ e’ mezza sott’acqua ce la siamo fatta, insieme ad altri ragazzi, tra cui due ragazze spagnole simpaticissime (probabilmente lesbiche) con cui ho intavolato grandi discussioni spacciandomi per ottima fruitrice della lingua spagnola e sicuramente se ne saranno accorte ma l’importante e’ comunicare (!!), seduti sopra ad una camera d’aria ciascuno, ovvero un enorme ciambellone nero galleggiante, ci siamo inoltrati nella fantastica grotta sommersa. 
 
E a questo punto, mi devo spiegare meglio…perche’ devo introdurre la famosa pratica di questi luoghi di fare "tubing"!! Nel pomeriggio, dopo un tipico pranzo bucolico a base del solito riso, con questi "ciambelloni" (i famosi "tubes" in inglese) ci siamo buttatti tutti nel fiume a circa 8 km da Vang Vieng per discenderlo e raggiungerla cosi’. Un’esperienza unica e pittoresca. Stai sopra a questi tubes inmezzo al fiume e lo discendi, l’acqua del fiume non e’ troppo agitata dalle correnti a parte in alcuni punti che ci sono un po’ piu’ di rapide e ti diverti un po’ di piu’ perche’ prendi velocita’, in alternativa la velocita’ media e’ quella di un…bimbo che va a gattoni! Ma meglio cosi’ aggiungerei, perche’ si ha tempo di rimbalzare da un bar all’altro che punterellano entrambi i lati del fiume per tutti i km percorsi, cosi’ non c’e’ pericolo che si salta qualche bar! Appena inizi a risalire il fiume dalla base non te ne accorgi, ma appena volti verso la prima ansa cominci a sentire la prima musica che pomba lungo quel lato di fiume! Per raggiungere questi bar ci sono i tipi laotiani che ti lanciano una liana legata ad una canna di bambu’ se la vuoi l’acchiappi e raggiungi la riva, altrimenti prosegui la tua lenta risalita. Inutile dire che dentro e fuori il fiume e’ un vero delirio di gente, roba del genere si vede facilmente a Cancun in posti tipo "Coco Bongo" nello "Spring Break", ovvero le vacanze dei college della gioventu’ scatenata americana. In alcuni bar se ti vuoi divertire di piu’ c’e’ una passerella con una liana da cui ti puoi tuffare dentro al fiume…che non puoi non provare! I bar offrono musica, drinks…di tutto di piu’! Il resto del tempo che non si passa nei bar si risale il fiume e ci si mette all’incirca 3 ore prima di raggiungere la meta e si arriva al baretto vicino alla mia guest house. Chi ti noleggia il tube vuole che rientri prima del tramonto perche’ entro le 18 si deve riconsegnare tutto!
 
Beh…le 2 sere dopo il mio tubing le ho passate a godermi il tramonto al "mio" baretto e a divertirmi nel vedere i ritardatari (quelli meno rasenti lo stato di coscienza) coi tubes che finalmente giungevano al traguardo verso le otto di sera trainati da degli avventori locali (perfettamente al corrente della situazione che ne hanno giustamente fatto un business) con le loro barche che per "soccorrerli" chiedendo qualche Kip.
 
Nel mio baretto ho conosciuto Francesca, una ragazza italiana e finalmente dopo settimane sia io che lei abbiamo ricomunicato con la nostra lingua! C’e’ stato subito un bel feeling tra di noi. Lei vive da 5 anni in Irlanda e prima di tornare a stare in Italia, s’e’ comprata il biglietto intorno al mondo e sta viaggiando da 5 mesi e ad aprile torna in Italia. Abbiamo parlato tantissimo e siccome lei era appena arrivata a Vang Vieng le ho suggerito il tubing ovviamente come benvenuto.
 
Invece noi il giorno dopo ce ne siamo andati in escursione in bicicletta insieme ad un ragazzo laotiano simpaticissimo, Cam. Lui ci ha portato a scovare dei villaggi, dove solo noi non avevamo gli occhi a mandorla e a vedere un piccolo rio. Per pranzo ci siamo buttati su un campo di qualche contadino e ci siamo messi a mangiare un sandwich (senza riso) nelle casette da "siesta’ democratiche che costruiscono loro. Io e Cam siamo diventati grandi amici, abbiamo parlato di tante cose belle e ci siamo scambiati tante usanze dei nostri paesi. Lui mi ha detto di quanto il suo popolo sia aperto e disponibile e quanto le persone siano pronte ad aiutarti nonostante non ti conoscano, perche’ fa parte della loro cultura. Ed in particolare mi dice della gente di Vang Vieng, mi dice che son le persone piu’ buone di tutto il Laos, che ti aprono la casa e ti offrono un letto se hai bisogno e soprattutto non ti negano mai un sorriso (me ne sono felicemente accorta). Io mi sono lamentata con lui del fatto che i laotiani usano sporcare la loro terra. Purtroppo nei miei viaggi in autobus locali, mi e’ capitato frequentemente di vedere gente del posto che allegramente non sapendo dove buttare la propria spazzattura la butta dal finestrino…e non parlo di qualche sacchetto di patatine, parlo di chili di cartacce buttate dai finestrini da parte di tutti i locali verso luoghi bellissimi! Questo e’ un problema frequente in tutti i paesi in via di sviluppo dove si pensa (legittimamente) prima allo sviluppo ma che purtoppo porta a sottovalutare altri aspetti della "medaglia" e quindi alla distruzione (in certi versi) a cui poi si deve rimediare e da cui, quindi, nasce il senso civico (ed eventualemtne un educazione dalle scuole e maggiore informazione nelle strade). Ho una rabbia e un dispiacere in corpo per questo, ma a chi dirlo?! Cosi’ lo dico a Cam, che parla inglese e che come tutti i laotiani qui ha comunque una coscienza e lui essendo giovane ha pure tante speranze. Dopo aver cominciato a parlare di storia e tradizioni, decide di portarci a casa sua, cosi’ vediamo come vivono le persone del posto. La nostra mega biclettata su strade di ogni tipo, principalmente su strade sterrate con le buche (non vi dico il mio fondoschiena il giorno dopo!), ormai giunge al 30esimo chilometro ma speso bene fino all’ultimo quando arriviamo da Cam. Ci sediamo nel suo giardino e lui mi parla di cosa vuole nel suo futuro, avere la sua propria attivita’ turistica (giustamente conveniente qui). Allora io gli parlo del turismo responsabile, gli dico di trasmettere il piu’ possibile l’orgoglio della sua terra alle persone che verranno a visitarla e dopo tutti i nostri discorsi gli chiedo di prometterlo. Lui mi sorride sinceramente ed e’ contento di parlare con una "falang" (straniera) come me. La sera dopo e’ l’ultima sera li’ e Cam e La (il suo amico) ci invitano a passare la serata come i locali, io accetto con entusiamo. La serata dei ragazzi locali e’ la discoteca col Karaoke (diciamo che in tutta l’Asia impazza il Karaoke!) e un ottima BeerLao, la birra piu’ buona del Laos (ed e’ vero). Cam lo sento proprio come il mio fratellino laotiano mi sono affezionata a lui e lui a me e quella sera ci siamo proprio divertiti. Dal Karaoke ci hanno portato nel locale dei "falang" a bere con loro, io mi sono ovviamente svaccata sull’amaca e poi non mi ricordo piu’ niente. Mi ricordo solo che Cam mi ha chiesto di promettergli che non me lo dimentichero’ mai e sara’ sempre nel mio cuore.
 
(Hanoi, 3 aprile 2008)
 
 

Chapter 10: GO BACK TO THE WAR

Oggi sto a Phonsavan, circa 300 km a sud di Luang Prabang, un posto completamente diverso da tutto il resto del Laos.
 
Siamo venuti qui ad esplorare la misteriosa "Piana delle Giare". Dietro a queste giare girano varie leggende, sul fatto che non si sanno le loro origini e perche’ queste giare di varie dimensioni si trovino sparse su alcune zone del territorio ad una trentina di chilometri da Phonsavan. I luoghi sono particolarmente suggestivi e sono divisi in 3 diversi siti. All’interno del sito numero 1, il sito col maggior numero di giare (circa un 200), si trova una grotta che durante la guerra la gente del posto ha usato come nascondiglio e siccome non dovevano essere scoperti, per diversi mesi centinaia di persone hanno vissuto al buio in questa grotta perche’ se avessero acceso il fuoco si sarebbe visto e sentito il fumo. Siamo entrati in questa grotta e abbiamo spento la luce per immaginarci quello che hanno vissuto loro. Solo la sensazione di stare li’ mi ha provocato dentro un senso di angoscia e soprattutto il senso di soffocamento, nello stare in un luogo grande ma che per cosi’ tante persone ammassate al buio tutte insime diventa un incubo ancora peggio se al buio. A volte l’uomo supera delle prove incredibili ed ancora una volta penso a cio’ che siamo nei nostri giorni, quanto tutto sia cosi’ facile. Penso che le generazioni passate o persone in alcune zone del mondo hanno patito e stanno ancora patendo sono l’esempio di quanto la gente a volte non sia in grado di fermarsi a pesare obiettivamente il senso delle cose che vive.
 
Su Phonsavan e su tutto il suo circondario, sembra che il silenzio abbia preso il sopravvento levando lo spazio al tempo per lasciar riflettere chi lo visita. Phonsavan si estende su un’immensa pianura, ovunque ci si volti non si vede il delimitare dell’orizzonte. E’ un paesaggio che non ci si aspetta venendo da altri luoghi del Laos, noi per raggiungere questo posto da Luang Prabang abbiamo preso un local bus la mattina molto presto percorrendo strade semi-asfaltate e poco comode inmezzo alle montagne facendo curve su curve! Ma non appena si comincia a scendere dalle montagne improvvisamente lo scenario cambia e ritrovandosi inmezzo a delle coloratissime pianure. Ma c’e’ anche un altro motivo "poco naturale" per cui il paesaggio e’ pianeggiante che e’, ahime’, il frequente uso della "deforestazione". Qui vengono abbattuti alberi su alberi anche quando non e’ necessario, per aver maggior terreno a disposizione ma che in realta’ puo’ essere scarsamente utilizzato perche’ per deforestare bruciano tutto!
 
La guerra da queste parti ha profondamente segnato gli animi delle persone, al punto tale che gli americani se sono in gruppi numerosi (da soli non c’e’ problema), devono visitare i villaggi scortati dalla polizia poiche’ la gente anziana serba ancora forti rancori e non distingue cio’ che e’ passato e cio’ e’ oggi.  Le bombe che sono state sganciate dagli americani, hanno inoltre lasciato delle profonde tracce che si trascinano ampiamente tutt’oggi. Moltissime delle bombe presenti nel territorio risultano inesplose e questo risulta essere un problema gravissimo, come in altre aree del mondo.
 
A Phonsavan, c’e’ un piccolo museo allestito da un’associazione non governativa inglese, il MAG, che nel mondo si occupa di divulgare notizie e raccogliere fondi ma soprattutto di addestrare persone (principalmente locali) per poi mandarle nei villaggi ad informare innanzitutto gli abitanti del pericolo e subito dopo a cercare le bombe ancora presenti per disinnescarle. Tramite il MAG ma anche i racconti di un alcuni ragazzi del posto, in particolare di Nam, un mio amico che guida i tuk tuk che e’ anche poliziotto in borghese, ho appreso un sacco di cose. Innanzittutto, 2 sono i grossi problemi attuali:
 
– in questi territori si innalza la percentuale di poverta’ del paese, la gente del posto non puo’ coltivare la maggior parte dellea sua terra per via delle bombe inesplose presenti nel territorio, ne risulta un basso numero di appezzamenti disponibili.
 
– la gente per guadagnare qualche soldo (parlo di cifre irrisorie, come 1 euro circa!), va in cerca dei pezzi di metallo che compongono le bombe per vendere appunto questi pezzi, cercando in modo "casereccio" di disinnescarle e la maggior parte delle volte, succedono delle catastrofi.  
 
Resto pietrificata all’interno del piccolo museo e ancora una volta mi pervadono i brividi e il senso di solidarieta’. Il minimo che posso fare e’ chiedere se posso essere utile, ma giustamente il MAG recluta gente del posto e non prende volontari. Lascio un mio piccolo contributo…
 
Per saperne di piu’: http://www.mag.org.uk
 
Il giorno seguente sono seduta a fare colazione in un piccolo bar all’angolo della strada. Mentre mangio la mia omelette con la baguette e sorseggio il mio the’, noto un uomo piccolo piccolo sporco che passa e coi suoi occhioni neri mi fissa. Le cameriere lo cacciano malamente peche’ non vogliono che quel poveretto infastidisca i loro clienti. Io gli compro una baguette col pomodoro e delle uova, glielo regalo e ne vado…
 
(Vang Vieng, 29 marzo 2008)

Chapter 9: LA PICCOLA CITTA’ FRANCESE DELL’ASIA

Luang Prabang e’ cosi’ "francese"! Oh la’ la’, un francese tutto suo…lo si sente nell’aria e nelle vie.
 
La guest house e’ molto accogliente, soprattutto grazie alla famiglia che la gestisce, la proprietaria gia’ la chiamo "mamy" perche’ coccola tutti con grande affetto. La mamy e’ una simpatica donnina laotiana di mezza eta’, costituzione esile, piccola statura e due occhi strabici che mi fanno un’immensa tenerezza.
 
Se si esce dalla viuzza della guest house che e’ parallela alla via che costeggia il Mekong, costellata di tranquilli localini la sera illuminati a festa, e si prosegue sulla destra, si arriva direttamente al centro in cui ogni sera ha luogo l’immancabile mercato notturno della citta’. Da qui quindi (ahime’) ci si puo’ buttare nella calca dei locali e ristoranti turisticamente piu’ frequentati.
 
Le viuzze sono appunto molto stile francese coloniale del secolo scorso, ma non e’ un caso, poiche’ il Laos e’ stata colonia francese nel periodo indocinese. Molti vecchietti parlano il francese e le scritte davanti ai palazzi pubblici sono ancora bilingue. Ad ogni modo le viuzze sono graziosissime e basta semplicemente passeggiare per respirare la citta’. Casette basse in legno, al massimo due piani, coi vasi riccamente variopinti di fiori, che s’intravedono dietro a recinti fatiscenti che comunque si incastrano perfettamente con l’ambiente. Fiori ovunque, dentro e fuori le casette. I colori di ciascun edificio, sono armonicamente accostabili a quelli di un altro. Le casette si alternano molto frequentemente a qualche tempietto coi suoi monaci sempre meno riservati, che anche se non si legge la Lonely Planet per venirne a conoscenza, e’ inevitabile non imbattercisi. Nell’insieme, un meraviglioso paesaggio racchiuso nel letto di due fiumi convergenti, quello del Mekong e quello del Nam Khan. Insomma tuttocio’ che si puo’ vedere a Luang Prabang e’ facilmente raggiungibile a piedi..al punto che il primo giorno mi son fatta a fette tutta la citta’! Nello stesso giorno, ho deciso di oltrepassare il fiume sull’altro lato e di addentrarmi nella foresta adiacente alla ricerca di qualche sperduto villaggio. Detto fatto, ritrovandomi a pochi chilometri di cammino, in un piccolo villaggetto e un tempio semi-decadente con qualche monaco-bimbo curioso che si affaccia dalla sua stanza. Il villaggetto e’ fatto di sole casette di legno e in qualche casetta posso trovare le donne che filano tessuti. Le donne piu’ sorridenti che abbia mai visto. L’ora in cui ho scelto di farmi la scampagnata non e’ la piu’ indicata, fa un caldo incredibile, cosi’ decido di rientrare verso LP. Percorrendo una via e l’altra sono riuscita a trovare dove depositare le bottiglie di plastica vuote, al "Centro dei bambini", con questo semplice gesto loro ci guadagnano un po’ di soldi vendendole insieme alle lattine e alle pile. Scegliamo di salire a vedere l’ultimo tempio all’ora del tramonto, momento migliore per godercelo, insieme ad un altro migliaio di persone!
 
Il giorno successivo, andiamo via fiume alle grotte distanti qualche chilometro da LP in cui all’interno sono raccolte varie statue di Buddha. Dopo le grotte andiamo per alcuni villaggi, uno dei quali produce il whisky locale fatto col riso. Gia’ dal primo assaggio, sto ubriaca e ad un certo punto camminando inmezzo al mercatino noto che dentro a delle bottiglie di whisky ci sono in alternativa dei serpenti o degli scorpioni, che i locali aggiungono giusto per "aromatizzare" il whisky. Nel pomeriggio, andiamo alle cascate all’interno di un parco protetto, un posto paradisiaco, in cui ci sono delle piscine naturali di un blu verde smeraldo intenso, dove si puo’ nuotare e rilassarsi sotto qualche palmetta immersa nella laguna. E qui sto veramente in paradiso! Lungo il percorso troviamo un piccolo ofranostrofio per orsi asiatici e ci fermiamo. Questi orsi qui vengono trattati con molto amore (si vede) perche’ sono vivaci e fanno morir dal ridere coi loro giochi. Do’una piccola offerta comprando una maglietta con disegnate le zampine di orso. Proseguendo il sentiero, c’e’ il sito in cui viene accudita una bellissima tigre, provo a fotografarla ma si muove troppo! L’ultima sera prenotiamo il biglietto per Phonsavan. La nostra prossima destinazione e’ la misteriosa Piana delle Giare, raggiungibile con un "comodissimo" pullman locale di 8 ore (ufficiali).
 
Arriviamo cosi’ alla mattina della partenza…come promesso alla mamy lascio il mio libro di Kerouac appena finito di leggere, che ho apprezzato sempre piu’ man mano che sono andata avanti coi capitoli. In molte guest houses, soprattutto del sud est asiatico, e’ usanza di molti viaggiatori lasciare i libri appena terminati di leggere, quale solidale scambio verso il prossimo viaggiatore che passera’ da quelle parti. Ho inoltre lasciato la mia foto tessera alla mamy, che insieme a quelle di molti altri transitati da qui lascia il segno del suo passaggio alla guest house. E se anche a voi capita di passare da Luang Prabang alla guest house della mamy, date un’occhiata che ci sto io! Mi "trovate" pure in Thailandia al primo internet point sulla destra del porto principale di Koh Pangan, Thongsala…"sto li’"dal 2005…
 
(Vang Vieng, 24 march 2008)