INTERVISTA AD OANA

Oana e’ una ragazza di quasi 29 anni, una dei tanti giovani rumeni che ha vissuto la sua infanzia coi ricordi offuscati dal regime totalitario di Ceausescu. Oggi e’ una ragazza serena, seria, lavoratrice.
Stiamo stringendo una bella amicizia e cosi’ tra un discorso e l’altro siamo arrivate a parlare della dittatura Ceausescu e di cosa e’ il post-regime.
"Aveva 12 anni, dice, quando ricorda che la sua famiglia faceva la fila per assicurarsi la razione di cibo mensile. Lei e i suoi fratelli sono cresciuti con dei valori violati, quali quelli basati sulla liberta’ d’espressione e della propria personalita’. Inutile aggiungere il numero delle vittime, che come in tutti i regimi dittatoriali hanno perso la propria vita. Oana mi dice che la sua famiglia e’ stata fortunata, che non e’ stato ucciso nessuno e che oggi lei e’ una ragazza piena di valori e di forza di volonta’ per cercare di sviluppare il suo paese.
Tuttavia, aggiunge, ci sono dei fenomeni sociali ancora non poco trascurabili.
Gli orfanotrofi sono affollati da tantissimi bambini abbandonati da donne, anche abbienti, che decidono di rimanere incinta consapevolmente.  Oana non riesce a darmi una spiegazione razionale e non la trovo neanche io…
Quello che cosi’ si crea e’ un atroce "circolo vizioso sociale" a cui do’ a voi la libera opinione sulle conseguenze.
Molti di questi bambini vengono affidati a famiglie dei villaggi, ricevendo vitto, alloggio, istruzione, ma comunque non trattati come figli bensi’ considerati delle forze lavoro sottopagate o addirittura non retribuite. Cosi’ questi bambini sin da giovanissima eta’, vanno a svolgere lavori faticosi. D’altro canto, se non vengono cosi’ "adottati", si ritrovano a chiedere l’elemosina per le strade…".
La Romania di oggi e’ entrata a far parte dell’Unione Europea e non possiamo che esserne contenti, se consideriamo questo per loro una grande opportunita’ di crescita e un grande segno di fiducia da parte degli altri stati membri. Tuttavia di strada da fare ce n’e’ ancora tanta e ci sara’ da rimboccarsi le maniche.
La prima cosa che auspico sono piu’ sorrisi sui volti delle persone, non ne ho visti tanti camminando per le strade, cosa molto comprensibile, non solo riconducibile ad un mero discorso di malcontento sociale, ma anche ad un assetto educativo molto rigido che non lascia spazio ad ovvia serenita’.
Nel nostro paese si leggono tante notizie di cronaca con al centro del mirino i cittadini rumeni macchiati da crimini. Ma voglio, ancora una volta, porre in evidenza tutte quelle persone oneste come Oana e tantissime altre che meritano di avere il giusto valore e considerazione.
Si tende spesso ad associare ad ogni persona appartanente allo stesso gruppo l’intera accezione negativa legata al gruppo stesso. Per me e’ veramente importante dare il giusto valore al singolo individuo, nonostante appartenga ad una globalita’.
Auguro il meglio anche a questo popolo. E ad Oana, in particolare, che il bene le stia sempre accanto…gia’ da adesso…e gia’ da adesso…ha un’amica in piu’.
 
(Timisoara, Ro. 27 ottobre 2007)
 
 

SWEAT LODGE: IL SUDORE NON CENTRA CON LE PREGHIERE

“INIPI, Essi si purificano…
Così i lakota chiamano la Sweat Lodge, una delle cerimonie indiane più abusate e più dissacrate dai bianchi.
 
Primo dei sette riti di preghiera, è in realtà il fondamento e la base di tutti gli altri poiché se non ci si è prima purificati e riequilibrati, ristabilendo in se stessi un contatto armonioso con le sette direzioni, non è possibile praticare le altre cerimonie nel modo dovuto.
L’Inipi, una semplice capanna circolare di rami di salice con al centro delle pietre incandescenti su cui si versa dell’acqua per produrre vapore, non ha però niente a che vedere col sudore, nonostante il nome che le hanno dato i bianchi e l’apparenza che la fa sembrare una semplice sauna.
La purificazione, infatti, non avviene attraverso la sudorazione – che è solo una manifestazione esteriore – ma attraverso la preghiera, il canto e il giusto intento del cuore che invocano l’aiuto e la presenza degli Esseri Spirituali. Sono loro, i Tunkasilas, ad agire insieme ai quattro elementi della vita, l’Aria, l’Acqua, il Fuoco, la Terra in un’ interazione alchemica che riequilibra l’energia del corpo fisico e del corpo spirituale.
Quando entri nell’Inipi, dicono i Lakota, è come se tu ritornassi nel ventre della madre – di Madre Terra. Qui, in un buio dove lo spazio e il tempo non hanno più confini e materialità, puoi scoprire come tutto ciò che esiste è strettamente correlato da un legame di parentela e fratellanza e che materia e spirito non sono altro che due aspetti di un’unica realtà che è la Vita. O, se riesci a far tacere il tuo cuore, puoi sentire il canto delle pietre, i Tunka, cioè i nostri Nonni, e le mille lezioni di saggezza impresse nella loro anima da tempo immemorabile. E, se lasci che tutto questo avvenga, puoi uscirne rinato come un bambino che apre gli occhi al mondo per la prima volta.”
(sito di Lifegate, 2002)
 
LA MIA ESPERIENZA
Entro in questa tenda, le donne si accomodano da un lato e gli uomini dall’altro. Uno di noi è il conduttore della Sweat Lodge o Inipi  chiamato così perchè portatore di pipa che gli è stata donata da Duane Hollow Horn Bear… un leader della sun-dance ovvero un uomo di medicina, autorità più politica che spirituale.
Il conduttore dunque comincia ad introdurci a questo “viaggio”. Tutti seduti in cerchio siamo di fronte ad un’enorme buca, in cui man mano vengono accomodate a gruppi delle pietre rese incandescenti. Man mano che ogni pietra viene introdotta, su ognuna vengono sparse sopra delle foglie di cedro sbriciolate. Dopodicché la tenda viene chiusa e sui partecipanti cala il buio…l’unico collegamento con la tangibilità di ciò che stai vivendo è solo con la tua anima.
La nostra “guida” comincia a recitare una preghiera nella lingua dei Lakota e i brividi cominciano a pervadermi, sento profondamente un energia che mi cresce da dentro e che vuole uscire…e la lascio uscire. La stessa essenza l’ho provata durante le meditazioni di Vipassana.
Più stai nella Sweat Lodge, più il coinvolgimento sale da parte di tutti i partecipanti. E’ bellissima l’atmosfera che si crea, ci sono coloro che lo fanno da anni e ci sono i “novizi” come me ed alcune altre persone.  Si prova un profondo senso di libertà e concentrazione grazie al buio, i pensieri, le immaginazioni si fanno più vivide perchè non si è distratti da nessun’altra osservazione. Inoltre la concentrazione rivolta all’istante ti fa percepire solo superficialmente l’immenso calore che sale nel buio dovuto dalle pietre ardenti.
La Sweat Lodge viene aperta più volte durante il rito, per agevolare l’introduzione delle altre pietre oltre che per far entrare aria e bere. Ogni volta che si beve, attingendo acqua da un secchio, se ne offre prima un sorso a chi di acqua a questo mondo ne ha poca, simbolicamente se ne versa un po’. 
Il momento più trascendentale è quello della fumata della pipa o “chanupa”. In senso orario, la pipa viene passata da persona a persona fino all’ultimo che è il conduttore. Ognuno prima di fumare esprime  preghiere e ringraziamenti. I presenti focalizzano il momento e pronunciano pensieri carichi di amore, gratitudine e speranza, ma anche sensi di inquietudine che con questo gesto vogliono annientare. 
La Sweat Lodge riaperta nuovamente dopo il chanupa, ora lascia intravedere un raggio di sole che sta tramontando e lentamente scende all’orizzonte. L’atmosfera è suggestiva…
Ultimo round, all’interno della Sweat si suda e si canta, si grida e si suona con i bonghetti, le maracas, battendo le mani.
Il conduttore recita l’ultima preghiera prima di congedarci e poi improvvisamente la tenda si schiude. I partecipanti escono  sudatissimi! 
Quello che resta è la ricchezza infinita di un’ulteriore esperienza in cui ti colleghi col centro di te e lo condividi con te e con chi sta con te, creando amore e solidarietà.
Ancora una volta posso affermare che la spiritualità non ha confini e ci sono mille modi per “toccarla” e stuzzicarla così anche l’esperienza nella Sweat Lodge, è una pratica sacra e importante che merita un’alta considerazione oltre la riconoscenza agli amici che mi hanno dato l’opportunità di viverla e la stima nei confronti di un popolo come quello degli indiani d’America, che come altre popolazioni hanno meglio capito il senso della vita.